Quasi nessuno immagina che nel Golfo di Gaeta siano stati scaricati
dalla centrale nucleare del Garigliano addirittura radionuclidi
artificiali come il Plutonio 239, il Cesio 137 e il Cobalto 60. Le prove
dell’ecatombe sono racchiuse in alcuni studi scientifici, come la
ricerca di A. Brondi, O. Ferretti, e C. Papucci dal titolo “Influenza
dei Fattori Geomorfologici sulla distribuzione dei Radionuclidi.
Un esempio: dal M. Circeo al Volturno” (Atti del Convegno
italo-francese di radioprotezione. Firenze, 30 Maggio – 1 Giugno 1983), e
quella di R. Delfanti e C. Papucci“Distribuzione del 239 Pu, 240Pu e
del 137Cs nei sedimenti del Golfo di Gaeta: osservazioni sui meccanismi
di accumulo e sulle velocità di sedimentazione”(ENEA –
Pas). Sull’aumento della radioattività nei sedimenti marini del golfo di
Gaeta ha scritto il 4 agosto 1984 anchel’Istituto Superiore di Sanità,
ma senza adottare alcun provvedimento per tutelare l’ignara popolazione:
«Per una serie di ragioni descritte in notevole dettaglio nella
letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di accumulo del Cobalto e
del Cesio, scaricati nel fiume Garigliano, all’interno del golfo di
Gaeta. Ciò è indubbiamente legato all’insediamento della centrale».
Nel primo documento ritroviamo la citazione relativa all’inquinamento
da Cesio 137, «le attività del Cesio137, nei primi due centimetri dei
fondali antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore
concentrazione, corrispondono a 7millicurie/kmq (259MBq/kmq)». Nel
secondo rapporto si commenta l’inquinamento da plutonio: «Nella figura
allegata sono riportati gli inventari del 239, 240 Pu nei sedimenti, che
decrescono all’aumentare della batimetrica (…). Inventari
particolarmente elevati (da 2 a 4 volte le deposizioni da fallout, pari a
81 Bq/mq a queste latitudini), sono stati rilevati nell’area fra le
batimetriche di 30 e 50m».
Prima o poi bisognerà farci i conti seriamente con questo disastro in
atto, provocato dall’Enel e tollerato dai governi italiani. Bentornati
alla centrale nucleare del Garigliano in riva al Tirreno. Un impianto di
proprietà, appunto dell’Enel, posizionato fra Napoli e Roma, e non
ancora bonificato, 36 anni dopo la disattivazione del reattore.
Tranquilli, i danni ambientali e sanitari sono andati già in onda,
provocando malattie, malformazioni, mutazioni genetiche e morte. Alcuni
studi scientifici del Cnen e dell’Enea hanno certificato un inquinamento
radioattivo già a partire dagli anni ’70, vale a dire 16 anni prima del
disastro di Chernobyl, con cui gli scienziati italidioti di regime
giustificano tutto, ma proprio tutte le nefandezze statali.
Ecco cosa attestano gli atti di un convegno italo-francese datato 1983, sotto l’egida dell’Enea:
«Dal maggio 1980 al giugno 1982 sono state condotte quattro campagne
radioecologiche nell’area antistante la foce del fiume Garigliano, sul
quale a circa 10 km dalla foce è situata una centrale elettronucleare da
160 MWe, in esercizio dal 1964 al 1978… Sono stati prelevati 160
campioni di sedimenti superficiali, benthos, pesci e cefalopodi, alghe,
macrofite fluviali e fanerogame marine… I radionuclidi artificiali
gammaemettitori sistematicamente rilevabili nell’ambiente marino sono il
Cesio 137 e il Cobalto 60… scarichi dovuti all’esercizio dell’impianto
nucleare… Nell’ambiente marino considerato la radioattività ambientale
artificiale direttamente correlabile all’esercizio dell’impianto
elettronucleare è distribuita su un’area marina di almeno 1.700
chilometri quadrati…».
Vale a dire, se la geografia non è una mera opinione, dal promontorio del Circeo all’Isola di Ischia.
Mezzo secolo di inquinamento ancora in atto che danni ha provocato
all’ecosistema marino, al territorio, alla numerosa popolazione locale, e
a chi ha soggiornato in loco ignaro dei pericoli? Dunque crimini forse
ben peggiori – se così si può dire – di quelli commessi dalla camorra in
affari con apparati segreti dello Stato.
In una ricerca effettuata per la Cee di Delfanti e Papucci (“Il
comportamento dei transuranici nell’ambiente marino costiero”) viene
tracciata una mappa della contaminazione da plutonio nel golfo di Gaeta
da 2 a 4 volte la deposizione da fall-out. Il plutonio non esiste in
natura: è una sostanza altamente tossica dal punto di vista chimico, è
pericolosamente radiotossica e di elevata rilevanza strategico-militare.
La radioattività del plutonio si dimezza dopo 24 mila anni ed esso
rimane pericoloso per oltre 400 mila anni. Secondo l’Istituto Superiore
di Sanità. “0,25 milionesimi di grammo sono il massimo carico
ammissibile di plutonio in tutta la vita per un lavoratore
professionalmente esposto”. Bastano infatti pochi microgrammi di
plutonio immersi nel condizionamento di un grattacielo per condannare
alla morte rapida tutti coloro che si trovano al suo interno».
Osservazioni sui meccanismi di accumulo e sulle velocità di Sedimentazione
Quale limite se non di natura biologica? Gianni Mattioli, docente di Fisica alla Sapienza non ha dubbi:
«Il danno sanitario da radiazioni è un danno senza soglia. Dosi anche
infinitesimali di radioattività innescano processi di mutagenesi e
patologie tumorali tant’è che la definizione di dose massima ammissibile
fornita dalla Commissione internazionale per la radioprotezione, invece
di essere “quella particolare dose al di sotto della quale non esiste
rischio”, è invece quella dose cui sono associati effetti somatici,
tumori e leucemie, che si considerano accettabili a fronte dei benefici
economici associati a tali attività o radiazioni».
La biologa marina Rachel Carson ha così argomentato nel saggio IL MARE INTORNO A NOI:
«La concentrazione e la distribuzione di radioisotopi ad opera degli
organismi marini può forse avere un’importanza ancora maggiore dal punto
di vista del rischio umano (…) gli elementi radioattivi depositati nel
mare non sono più recuperabili. Gli errori che vengono compiuti ora sono
compiuti per sempre».
Articolo pubblicato su Siamo la Gente, titolo originale: “ITALIA: LA CATASTROFE NUCLEARE INSABBIATA DALLO STATO – e chi se ne frega se la gente muore di cancro!!“, 25 Giugno 2014