Dopo
e prima Cernobyl l'Italia è percorsa da un susseguirsi di lotte per la
difesa del territorio: da quella contro le discariche a quella contro il
nucleare, arrivando fino in Veneto nella mobilitazione per bloccare gli
inceneritori.
Il 10 maggio
nelle strade di Roma ci sono moltissime organizzazioni da quelle più
istituzionali alla ricerca di consensi elettorali a quelle antagoniste e
di movimento.
Secondo
radicali, verdi e fgci, serebbe dovuta essere una marcia pacifica, ma
invece è un esplosione di cori contro l'ENEL e l'ENEA , e sopratutto
contro il piano nazionale per l'energia e contro il governo.
Durante
il percorso, lo spezzone antagonista riempito dai comitati contro il
nucleare, dai lavoratori, dai comitati di studenti medi ed universitari,
si stacca dal percorso e dal resto del corteo per dirigersi verso la
sede dell'ENEL e dell' ENEA.
È
proprio contro questi due enti responsabili dell'elaborazione del piano
nucleare che più di 5.000 persone iniziano una folta sassaiola, che
sfocia poi con uno scontro con le forze dell'ordine.
Stessa
scena si vede riproposta quando il corteo arriva sotto la sede della
Democrazia Cristiana anch'essa responsabile di aver organizzato la
nuclearizzazione del territorio nazionale.
La
giornata del 10 maggio è importante non solo per la portata politica
che ha avuto per il movimento anti-nucleare, ma anche perchè dimostra
che uscire dal recinto della protesta pacifica e silenziosa è possibile e
che quando la gente compie questo passo e ne prende consapevolezza
moltipilca la propria forza, diventando ingovernabile per la politica
capitalista della classe dirigente.
Nella
storia del movimento anti-nucleare degli anni '80 questa giornata viene
ricordata per essere stata un momento decisivo di radicalizzazione
della protesta, e lo smarcamento del movimento dalla politica
istituzionale che per anni ha gestito la questione energetica come
ricerca di consenso elettorale.
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