RICERCATORI PRECARI AL GUINZAGLIO DELLE UNIVERSITA' SFRUTTATRICI
tratto da: Infoaut
Sono stati presentati nei giorni scorsi a Roma i dati
raccolti dall'indagine “Ricercarsi” di Flc-Cgil sulla situazione
lavorativa dei ricercatori precari italiani. Dati che palesano come nel
sistema universitario sia mantenuta una situazione di crisi che continua
a tenere sotto ricatto ampie fasce di classe lavorativa, mentre la
classe dirigente può non veder rosicchiati i suoi privilegi.
La
prima cosa che fa scalpore è vedere che dei 68mila ricercatori che
l'università ha sfornato tra il 2003 e il 2013 solo 4500 (il 6,7%) viene
assunto stabilmente con un contratto di ricerca,. Con un turn-over
quasi totalmente bloccato non esiste possibilità di scelta e prolificano
i lavori a termine attraverso i quai l'università nasconde la sua
faccia fallimentare e risparmia sulle assunzioni: assegni di ricerca,
co.co.pro o post-doc sono in dieci anni quasi raddoppiati.
In
questo scenario, oltre a venir messa a repentaglio la continuità della
crescita formativa e lavorativa dei ricercatori questi sono anche
inseriti in un sistema di sfruttamento e precarietà praticamente
obbligato, in cui sperando in un rinnovo contrattuale si accettano borse
studio e stipendi da fame, lavoro gratuito e attività al di fuori delle
proprie competenze. Infatti solo il 3,1% degli intervistati dedica il
proprio lavoro esclusivamente alla ricerca e solo il 20% dichiara di non
aver mai svolto lavoro non retribuito, mentre il 28,6% racconta che è
capitato "spesso".
L'età media degli inchiestati è 35
anni e il 70% non ha figli, speriamo che questo dato derivi da una
scelta personale, ma molto più probabilmente sarà causato anche questo
da un'impossibilità di costruire un progetto a lungo termine di vita a
causa della precarietà lavorativa. Infatti oltre il 50% del campione
non riesce a immaginare il proprio futuro professionale tra 10 anni e il
60% dei dottorandi pensa che dovrà andare all'estero per continuare a
lavorare nella ricerca.
Dei 1861 ricercatori precari
analizzati il 16% non lavora più all'università, di questi il 34% è al
momento disoccupato e il 45% ha maturato una professione in un altro
campo. I fortunati che possono rimanere per più tempo a fare i precari
all'università sono quelli che vengono da famiglie con redditi più alti,
questo va a rimarcare come in questa professione sia ancora importante
la possibilità di accedere a un welfare famigliare. che sopperisca alla
mancanza di fondi del settore.
Mentre in questi
giorni leggiamo angosciati i risultati di questa ricerca non possono non
saltarci agli occhi le celebrazioni che il Rettore di Bologna mette in
piedi per i «bravissimi» dell'Alma Mater, 181 studenti che ricevono un
riconoscimento di 1500 euro per i meriti ottenuti nell'anno accademico.
Ci chiediamo se l'università, che ormai dovrebbe anche cambiare nome
visto che di universale ha ormai ben poco, tra corsi pilotati dalle
aziende che con le loro trasfusioni di liquidi tengono per la collottola
i CdA, costi che ormai rendono inaccessibile a tantissimi l'iscrizione e
un'immissione nel mercato del lavoro bloccata, ci chiediamo se
realmente l'università sarà capace di assicurare un futuro a questi
ragazzi a cui il ricco Dionigi con a
lle spalle il Prorettore agli
studenti Nicoletti si accinge orgogliosamente a stringere la mano... Se
non a tutti i 100mila studenti iscritti, almeno a questi sarà data la
possibilità a costruirsi un futuro non precario, o sono solo belle
scenette con cui l'Ateneo si atteggia a luogo felice e pulito? Per ora
dubitiamo....