L'11 settembre 1926, Gino Lucetti, un
giovane anarchico originario di Carrara, verso le nove del mattino si
adombrò dietro un'edicola dei giornali del piazzale di Porta Pia,
non prima di aver preso un vermut al bar tra via Ancona e via
Nomentana. Il giovane aveva con sé due bombe a mano tipo Sipe e una
rivoltella browning affidatagli dal buon Baldazzi, un sovversivo dei
Castelli assai vicino a Errico Malatesta. Così arrangiato, Gino era
intenzionato a uccidere Mussolini e mettere la parola fine al regime
delle camice nere. Il duce era infatti solito uscire tutte le mattine
con la sua limousine Fiat 519 dalla sua residenza di Villa Torlonia
alla volta di Palazzo Chigi, passando per via Nomentana, Porta Pia e
via XX Settembre. L'idea di Gino era di lanciare un primo ordigno
contro l'autovettura ed utilizzare il secondo per coprirsi la fuga,
utilizzando la rivoltella alla bisogna. Poco prima delle 10:30,
l'autovettura di Mussolini arrivò sfrecciando, dovendo però
rallentate in prossimità dell'incrocio. Il momento era propizio: il
giovane anarchico uscì dal suo nascondiglio e scagliò la prima
Sipe, la quale però – purtroppo – rimbalzò sull'automobile
esplodendo poco più in là senza procurar danni. L'autovettura
accelerò dileguandosi per via XX Settembre; Gino tentò subito di
mettersi ai ripari, inseguito da alcuni poliziotti lì di sentinella
al percorso del gran capo, verso i quali lanciò la seconda bomba,
che tuttavia non fece il suo lavoro rimanendo inesplosa sul selciato.
Raggiunto dalle guardie, Lucetti fu fermato in un portone di via
Nomentana e da lì tradotto in questura. Negli uffici fu subito
interrogato; fornì un nome falso (“Giannini”) e asserì di
«essere anarchico individualista e di conoscere solo se stesso». In
realtà il piano era stato preparato da almeno un anno e aveva
coinvolto compagni anarchici e sovversivi fuoriusciti in Francia e
altri di Milano e Trieste, nonché quelli romani che aveva assicurato
il loro appoggio logistico. Il regime fece di tutto per evitare di
accreditare l'ipotesi di un complotto anarchico, non volendo
ammettere che i sovversivi potessero arrivare ad attentare alla vita
del duce nel cuore della capitale, che, per la propaganda del tempo,
doveva essere considerata una città ordinata e tranquilla. La
repressione fascista non si fece comunque attendere. Nei giorni
seguenti, in Toscana, fu arrestata tutta la famiglia di Lucetti, la
quale era di certo all'oscuro delle intenzioni di Gino; a Roma furono
invece arrestati gli esponenti più in vista del movimento capitolino
tra i quali Errico Malatesta, che aveva favorito l'attentato,
l'individualista Attilio Paolinelli, e i sindacalisti libertari Eolo
Varagnoli, Ettore Sottovia e, il 10 novembre, Spartaco Stagnetti,
anch'egli anarchico e segretario nazionale del Sindacato dei
tranvieri, che fu tradotto direttamente al confino da dove non fece
più ritorno. Ma gli anarchici non erano affatto intenzionati ad
abbandonare Lucetti nelle carceri del fascismo e, a tal fine,
Malatesta, Baldazzi, Paolinelli e Aldo Eloisi (quest'ultimo in
seguito martire alle Fosse Ardeatine) progettarono di liberarlo il
giorno del processo. Ma la polizia venne a conoscenza del piano,
arrestò Baldazzi e l'evasione alla fine sfumò.
per approfondire:
# R. Carocci, Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità sociale dall'età giolittiana al fascismo (1900-1926), Odradek, 2012.
# R. Lucetti, Gino Lucetti. L'attentato contro il duce 11 settembre 1926, Carrara, 2000.
a cura dell'Info.Shop "laTalpa"