Passa ai contenuti principali
Roma, 26 aprile: proiezione di “Corbari” e dibattito
(25 Aprile 2015)

Valentino Orsini (1927-2001) è senz’altro un regista dimenticato. In una fase non lontana lo si è celebrato come esponente di rilievo del cinema nostrano, soprattutto in conseguenza della stima manifestata nei suoi confronti da Cinema Nuovo, la gloriosa testata di orientamento marxista che chiuse i battenti nel 1996, dopo la morte del fondatore Guido Aristarco. Poi, con l’avvento di altri orientamenti critici, in apparenza meno “ideologici” ma sostanzialmente volti a trascurare qualsiasi espressione cinematografica non in linea col pensiero dominante, su Orsini è caduto l’oblio. In particolare, la televisione italiana ne ha cancellato il ricordo per molti anni, giungendo a recuperare almeno Uomini e no – film del 1980 tratto dall’omonimo romanzo di Elio Vittorini – solo con l’avvento del digitale terrestre e dei canali tematici come Rai Storia. Del resto, quella del regista nativo di Pisa è stata una produzione poco incline ai compromessi col mercato e sempre contraddistinta da tematiche forti e da scelte stilistiche conseguenti: lo confermano i film iniziali, realizzati in collaborazione con i fratelli Taviani (tra i quali, nel 1962, Un uomo da bruciare), così come quelli concepiti autonomamente, a partire da I dannati della terra (1969). In questo quadro,Corbari (1970), ispirato alla vicenda del partigiano faentino Sirio Corbari (nome di battaglia Silvio), si segnala per il tentativo di accostare un pubblico più largo, a partire dalla scelta dell’attore protagonista, il popolarissimo Giuliano Gemma. Ciò, senza piegarsi alle più viete consuetudini del cinema spettacolare, né rinunciando all’idea di usare la settima arte per stimolare la riflessione e il dibattito. Le vicende della piccola Banda Corbari, attiva nelle province di Forlì e Ravenna tra l’autunno del 1943 e la fine dell’estate del 1944, vengono qui restituite con poche infedeltà, muovendo da una precisa considerazione. Se per alcuni aspetti può essere associata ad altre formazioni partigiane – ad esempio, per la perfetta conoscenza del territorio in cui si agiva, a quella dei Fratelli Cervi – la Banda Corbari ha espresso nel modo più estremo non solo una fortissima, impaziente spinta all’azione, ma anche l’insofferenza verso le direttive provenienti dall’alto, fonte di gravi contrasti con i vertici locali del Comitato di Liberazione Nazionale. Di conseguenza, restituirne il percorso, all’insegna di gesta di straordinaria audacia (come la liberazione di Tredozio, tra il 9 e il 20 gennaio 1944), vuol dire interrogarsi anche su uno dei principali problemi che si ripropongono in ogni lotta di liberazione ed in ogni processo di trasformazione sociale: il complesso rapporto tra organizzazione e spontaneità, tra i necessari livelli di coordinamento e di centralizzazione delle decisioni e la libera iniziativa dei singoli gruppi che agiscono per conseguire l’obiettivo comune. Del resto, lungi dal poter essere liquidati come semplici “teste calde”, quelli della Banda Corbari, con le loro azioni rapide ed imprudenti, hanno ottenuto cospicui risultati sul piano militare – diventando – a breve giro, una sorta di ossessione per le autorità fasciste e naziste: è indicativo, in tal senso, che in un rapporto del comando militare tedesco di Ferrara, datato 15 giugno 1944, si esprimesse disappunto per il non aver saputo ancora “rendere innocuo il capobanda Corbari, uno dei più importanti fomentatori di disordini”. Ciò che più suscitava preoccupazione era il forte consenso di cui godeva la formazione partigiana in questione, le cui gesta venivano tramandate di paese in paese in termini quasi leggendari, secondo i moduli della narrazione orale tipici della cultura popolare romagnola.
E’ in virtù di queste implicazioni che, per domenica 26 aprile, alle 18,30, presso la Camera del Lavoro Autorganizzata (Via Ostuni 9), si terrà la prodizione del film in questione, cui seguirà un dibattito incentrato su “La resistenza antifascista tra spontaneità e organizzazione”. Un’iniziativa organizzata da Alternativa di Clase, Infoshop La Talpa e Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma, cui ha dato la sua adesione l’Unione Sindacale Italiana. Un momento di confronto che, per quanto ci riguarda, rientra in quel tentativo di dare una precisa caratterizzazione al 70° anniversario della Liberazione che, come sito, abbiamo portato avanti in vari modi. Ospitando, come di consueto, alcuni dei più puntuali interventi prodotti - al riguardo – dalle diverse espressioni della sinistra di classe, ma anche intervistando il Comitato Provinciale dell’Anpi di Viterbo, protagonista di una rigorosa battaglia contro il revisionismo/rovescismo e, soprattutto, propositore di un modo assai dinamico di concepire la data del 25 aprile. E promuovendo, infine, assieme ad altre realtà, una iniziativa come quella del 26 aprile, che potrebbe sembrare sganciata dalla più stretta attualità ma che rinvia – invece – alla volontà di volare alto, nella consapevolezza che, per fondare il superamento di un presente segnato dall’oppressione e dallo sfruttamento, occorre rileggere in modo appassionato e critico le migliori pagine del nostro passato.


Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma


Post popolari in questo blog

SCIOPERO GENERALE mercoledì 25 novembre 2020

 

ARTE JUGOSLAVA

ARTE JUGOSLAVA. TERZO SPAZIO Chiara Sestili  e  Daniele Vazquez Prima rottura partigiana: dal realismo socialista alla sua dismissione  La  Jugoslavia  ha visto abbattersi sulla propria storia una doppia  damnatio memoriae . Dannata, dapprima dal blocco sovietico e dal blocco occidentale, in quanto “porta del capitalismo” per gli uni e “satellite dell’URSS” per gli altri, è stata definitivamente perduta all’oblio storico con il crollo e le guerre degli anni Novanta. Antun Augustinčić scolpisce il busto di Tito 1947 Bogdan Bogdanović con i suoi studenti Džamonja Edvard Ravnikar Picelj Bakić-Vasarely_Džamonja-primi 60_Londra Picelj e Snrec Vjenceslav Richter 1972 Vojin Bakić Numerosi equivoci ci sono stati durante il processo di costruzione identitaria e invenzione della tradizione dopo la Federazione Jugoslava, non solo storici, politici e culturali, ma anche nel campo dell’arte. L’obbiettivo di questo articolo è restituire le esperienze artistiche

IL PRODUTTIVISMO COSTRUTTIVISTA RUSSO

SOVIETICA Chiara Sestili Daniele Vazquez “È solo l’abitudine della vita quotidiana che fa apparire come cosa banale, come cosa ovvia, che un rapporto di produzione sociale assuma la forma di un oggetto”. Marx, Per la critica dell’economia politica. UN CONO D’OMBRA SULLA CRITICA DELLA VITA QUOTIDIANA: IL PRODUTTIVISMO COSTRUTTIVISTA RUSSO. Tra le esperienze del Costruttivismo russo post-rivoluzionario abbiamo selezionato quella dell’INKhUK di Mosca, l’Istituto di Cultura Artistica fondato nel 1920. Questo Istituto fu un crocevia di dibattiti teorici, pratiche artistiche e sperimentazioni nel campo della produzione industriale che hanno riguardato direttamente la trasformazione della vita quotidiana, attraverso la circolazione degli oggetti socialisti in opposizione agli oggetti-merce borghesi. INKhUK foto di gruppo con Kandinskij 1920 Gruppo di lavoro sul Costruttivismo INKhUK 20 Aprile 1921 Medunetsky, G. Stenberg, Ioganson, Gan, Rodchenko, V. Stenberg, Stepa