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BREVI CONSIDERAZIONI SULLE PUSSY RIOT E SUI FARI DEL DOGMATISMO CHE ACCECANO ANCORA ALCUNI COMPAGNI E COMPAGNE.



BREVI CONSIDERAZIONI SULLE PUSSY RIOT E SUI FARI DEL DOGMATISMO CHE ACCECANO ANCORA ALCUNI COMPAGNI E COMPAGNE.

Il caso delle Pussy Riot (PR), ha prodotto, soprattutto a Roma, una serie di esternazioni che riteniamo gravi e ingenerose e in alcuni casi pericolose. Lontani dal voler fare la lezione a qualcun altro, ci sentiamo in dovere di prendere posizione pubblicamente.  Non è la prima volta che un avvenimento isolato, di per sé poco significativo, generi sommovimenti mediatici e politici, tali da chiamare in causa ogni solidale. Non entreremo neanche nel merito di come una situazione possa essere strumentalizzata o  addirittura  infiltrata, troppo bisognerebbe scrivere, ma sicuramente quando si fanno accuse più o meno velate bisognerebbe quantomeno fornire delle prove documentate e non lasciarsi andare a facili quanto stupide illazioni, perché questo ci disarma verso situazioni reali ambigue che purtroppo esistono.

Sappiamo poco delle PR, se non ciò che ognuno di noi ha potuto filtrare dagli apparati mass mediatici. Ma sappiamo abbastanza sullo Stato Russo e sulla sua natura e la sua attitudine imperialista, autoritaria e clerico-fascista, per non provare un’istantanea simpatia con chi, giovane e irriverente, ha scelto la strada dell’aperta contestazione, provocatoria e, tutto sommato, pacifica. Lontani dal voler proporre un’esegesi del PR-pensiero o dal fornire una critica-anti-critica del modo che hanno scelto per inscenare la loro protesta, ci rendiamo però conto che la piccola provocazione punk-femminista-situazionista ha suscitato, come spesso accade, una serie di reazioni che sono andate molto al di là della vicenda stessa. Basti pensare che giorni fa, in Russia, un serial killer ha ucciso 2 donne e ha scritto free pussy riot sul luogo del delitto.

Non ci prestiamo a impantanarci nella vacua e francamente squallida e volgare polemica estiva che ha coinvolto alcune aree del cosiddetto “movimento”, che in un calderone senza capo né coda hanno infilato un po’ tutto, mostrando una confusione latente e un disorientamento di fondo, che alimenta nuovi pasticci interpretativi e che favorisce l’incunearsi di atteggiamenti reazionari e bigotti, nonché l’affacciarsi di tendenze rosso-brune. La riflessione, però, si apre da sé, andando ben oltre la vicenda delle PR e coinvolge alcuni irrisolti sui quali le italiote sinistre (estreme e non) continuano a incaponirsi.

Ebbene, la critica femminista (di cui le PR si sono fatte a loro modo portatrici), con tutte le sue sfumature, come al solito, infastidisce e suscita reazioni scomposte, lasciando balbuzienti presunti lottatori di classe, spesso più inclini ad accodarsi alle burocrazie sindacali che ad agire direttamente. Riteniamo invece che, in un regime che si configura tanto patriarcale quanto capitalista, la critica di genere, nella sua autonomia, possa arricchire e contribuire a un deciso passo in avanti nella liberazione dallo sfruttamento del capitale, come, d’altra parte, siamo convinti e convinte che l’analisi di classe possa sostenere la determinazione femminista, soprattutto nelle sue correnti rivoluzionarie e antiborghesi. Pur non essendo tutti noi necessariamente marxisti, rivendichiamo alcuni assunti del materialismo-storico per i quali, più di 5.000 anni fa, proprietà privata della terra e dei mezzi utili alla produzione e dominio patriarcal-famigliare sorsero, non a caso, insieme e, da questo punto, di vista orientiamo le nostre forze interpretative.

La spocchia pretestuosamente classista e presuntamente anti-imperialista, ma in realtà incapace di cogliere le contraddizioni di fondo del modo in cui viviamo, continua ad arenarsi e infrangersi su questi scogli. Come d’altronde non riesce a uscire dalla logica banale per la quale il nemico del mio nemico sia in qualche modo mio amico, fino a ritrovarsi a braccetto con qualche dittatorello in nome di non precisate convergenze geopolitiche o giustificazioni d’altro tipo. La critica antimperialista come la scienza geopolitica meritano uno sforzo intellettuale maggiore di ciò che, in questi giorni, leggiamo in rete.

Non diamo lezioni a nessuno tanto meno ci interessa coinvolgere chicchessia nelle nostre riflessioni, ma non possiamo tacere di fronte a tanto minimalismo teorico e a un tale riduzionismo delle esperienze e delle idee. Rimaniamo sorpresi/e (ma non troppo) da un utilizzo così disinvolto di suggestioni interpretative che elevano un lessico destrorso ad assunti materialistici. L’oscenità pratica e intellettuale di voler confondere la terminologia tanto cara all’estrema destra, quale occidente e occidentale (che, di per sé, sono solo una limitata e imprecisa espressione geografica) con una categoria interpretativa ci lascia perplessi, poiché apre all’infiltrazione del cancro rosso-bruno che, proprio, su tale confusione, fa sempre più leva per proporsi negli ambiti antagonisti, coincidendo spesso con cripto-stalinismi tanto ridicoli quanto sempre più spudoratamente reazionari. 
Del resto, ci sembra che abbiano ben poco di classista e leninista  affermazioni come la seguente: “Quanto all’antimperialismo, è la diretta conseguenza della scomparsa del concetto di lotta di classe nei movimenti. L’antimperialismo infatti altro non è che lotta di classe declinata a livello internazionale, la lotta di classe fra paesi. E’ ovvio dire che Russia, Cina e Stati Uniti condividono il medesimo sistema di produzione e di asservimento che combattiamo. Meno ovvio è dire che, fra questi, si sta giocando una lotta di classe evidente fra un polo imperialista occidentale e uno orientale, in cui però quello orientale ha l’oggettiva funzione di proteggere (per suoi scopi) determinati paesi che sono sabbia negli ingranaggi dello sviluppo capitalistico.” (cit. dal secondo documento prodotto dalla militant)
La lotta di classe si è dunque trasforma in lotta tra stati.

Il nostro internazionalismo, che assumiamo come bussola orientativa e non come dogma religioso, è, proletario nel senso più preciso e ampio del termine e si ricollega a tutte le esperienze operaie e popolari di lotta allo sfruttamento capitalista, all’oppressione statale e patriarcale. Proprio per ciò, la lotta di classe non intendiamo confinarla nella sola dimensione nazionale che vediamo essere sempre più cara a certi ambienti fino a farla diventare un’istanza nazionalista (magari anche “progressista”) che va viepiù combaciando con la vecchia istituzione borghese dello stato-nazione.

Se questo è il livello del dibattito politico e delle posizioni espresse dal movimento si capisce bene il perché non si riesca ad uscire da una trita autoreferenzialità e da una sostanziale inefficacia.


Roma, settembre 2012



CENTRO DOCUMENTAZIONE ANTAGONISTA –LA TALPA-

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