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1°Maggio 2020

1 MAGGIO, FESTA DEI LAVORATORI: "Arriverà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che strangolate”                                                                    
 
Nel 1886 a Chicago scoppia la rivolta di Haymarket Square. Sette anarchici verranno condannati a morte per i fatti di quelle giornate di lotta
«Otto ore per lavorare, otto ore per riposare, otto ore per educarsi»                  Era questo lo slogan coniato dai lavoratori australiani nel 1855, slogan presto ripreso da tutte le organizzazioni di lavoratori europei e americani. «Che cosa si può chiedere a un uomo che lavora 12, 13 o 14 ore al giorno? Può, rientrando a casa, trovare la forza di aprire un libro?» chiedeva retoricamente, nel 1866, il congresso di Ginevra della Prima Internazionale, l’organizzazione che riuniva i partiti socialisti e i movimenti a tutela dei lavoratori di tutti i paesi.                                                                                                                     
Sulla fortissima spinta delle imponenti mobilitazioni operaie, nello stesso anno lo Stato dell'Illinois fu costretto, per primo, a promulgare una legge che introduceva formalmente la giornata lavorativa di otto ore, ma lo fece inserendo limitazioni tali da renderne impossibile l’effettiva applicazione. L'entrata in vigore di quella legge fu fissata per il 1 Maggio del 1867, giorno in cui circa 20.000 lavoratori invasero le strade di Chicago, dando vita al più grande corteo mai visto fino a quel momento nelle strade della città americana.                                                                                                   
Tuttavia, le resistenze dei padroni nell’applicare quella legge furono enormi, e anche negli anni successivi le condizioni di lavoro continuarono ad essere miserabili. La maggior parte degli operai continuò infatti a lavorare dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana, in condizioni pericolose e spesso oltre i limiti del disumano.                                                                                                                                         
Le lotte operaie guidate dai movimenti socialisti e anarchici seguitarono, e nell'ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno. Quel giorno circa 400 mila lavoratori incrociarono le braccia in tutti gli Stati Uniti; nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo almeno 80 mila persone. Nelle principali città industriali americane gli scioperi e le manifestazioni proseguirono anche nei giorni successivi, e la tensione si fece sempre più acuta. 
Il 3 maggio la polizia sparò contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, uccidendo quattro persone.                                                                               Durante la manifestazione di protesta indetta per il giorno dopo ad Haymarket Square, la polizia ordinò improvvisamente alla folla di disperdersi, cominciando a marciare verso il carro degli organizzatori nonostante non si fossero verificati disordini di alcun tipo. Fu a quel punto che un piccolo ordigno fischiò sopra le teste dei manifestanti, atterrando vicino alle prime linee della polizia e uccidendo un poliziotto, Mathias Degan. La polizia aprì allora il fuoco sulla folla: alla fine della sparatoria si contarono undici morti e decine di feriti. Il giorno dopo a Milwaukee, durante un corteo organizzato da operai polacchi, la polizia sparò ancora contro i manifestanti, provocando altre nove vittime.                                                                 
Le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, investite da una feroce ondata repressiva, subirono decine di arresti tra le fila dei propri dirigenti e militanti e molte delle proprie sedi furono devastate o chiuse.                                                                                                                  
Per i fatti di Chicago, il giudice Joseph Gary condannò a morte sette militanti anarchici (August Spies, Adolph Fischer, Albert Parsons, Louis Lingg, Michael Schwab, George Engel, Samuel Fielden) malgrado non ci fosse alcuna prova della loro partecipazione all'attentato. Alla vigilia dell'esecuzione, Louis Lingg cercò di suicidarsi accendendo un sigaro con della dinamite che era riuscito a introdurre clandestinamente nella sua cella: nonostante la deflagrazione gli avesse strappato via mezza faccia, prima di morire Lingg patì una tremenda agonia di molte ore. Fielden e Schwab, invece, videro la propria pena commutata in ergastolo, mentre Spies, Parsons, Fischer ed Engel furono impiccati insieme l'11 novembre 1887. I condannati non morirono immediatamente, ma soffocarono lentamente, lasciando visibilmente scosso di fronte al macabro spettacolo il pubblico accorso in carcere per l’occasione.                                                                                                                       August Spies, poco prima di morire, disse: "Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che strangolate oggi".                                                                      
Il 20 luglio 1889, il congresso della Seconda Internazionale riunito a Parigi stabilì che il 1 Maggio divenisse giornata di ricordo dei martiri di Chicago e simbolo di lotta per la giornata lavorativa di otto ore: "Una grande manifestazione sarà organizzata per la data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore". 

Il Primo Maggio oggi.      

 Oggi, a più di un secolo da quei fatti, il significato di quelle mobilitazioni va ri-attualizzato nel quadro della disastrosa emergenza Covid 19 che il mondo sta affrontando. La pandemia in atto avrà, ad ogni livello, conseguenze devastanti sui lavoratori. La crisi economica accentuerà ulteriormente le disuguaglianze, già elemento costitutivo di un sistema capitalista che produce sfruttamento e precarietà per molti e privilegi sociali per pochissimi. 
Negli ultimi due mesi sono emerse drammaticamente, in relazione alla tenuta di un sistema sanitario pubblico reso “zoppo” e incapace di affrontare l’improvvisa emergenza, le conseguenze di decenni di privatizzazioni e tagli draconiani alla spesa sociale, misure che per anni sono state propagandate come panacea e soluzione di tutti i mali del paese, o tutt’al più minimizzate (quando non direttamente nascoste sotto il tappeto). 
Nel settore sanitario, in Italia, negli ultimi dieci anni sono stati tagliati circa 50.000 posti di lavoro e almeno 80.000 posti letto in ospedale. Nel 1980 in Italia c’erano 10,6 posti letto ogni 1.000 persone, oggi sono solo 2,5. Nel frattempo, medici e infermieri sono stati letteralmente abbandonati a gestire l’enorme emergenza, sottoposti a turni massacranti, con indicibili carichi di stress emotivo e spesso senza i minimi ausili protettivi. Contemporaneamente, alcuni presidenti di regione si facevano fotografare durante l’aperitivo o la cena, e le associazioni di industriali, Confindustria in testa, starnazzavano che “Non bisogna chiudere nulla”.
Lo smantellamento dei sistemi sanitari – non solo quello italiano - non è un fenomeno disgiunto dal quadro generale di attacco trentennale alle conquiste e ai diritti ottenuti dai lavoratori in decenni di lotte. Attraverso la minaccia di licenziamenti, chiusure e delocalizzazioni, le crisi - più o meno recenti - hanno accelerato un processo regressivo in atto da molto tempo, portando al continuo aumento dell’età pensionabile, all’aumento dell’orario di lavoro, a tagli sempre maggiori ai diritti individuali e collettivi e al taglio dei salari, mentre intere categorie non hanno neanche più il luogo di una rappresentanza sindacale. 
Queste tendenze, diffuse attraverso i tentacolari e dogmatici canali della globalizzazione e del neoliberismo economico, si sono potute attuare anche a causa della “resa” al capitalismo – in molti casi si è trattato di aperta complicità - da parte dei gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale (basti ricordare il pacchetto Treu, la legge 30/2003, il Jobs Act, ecc.ecc.)                                                                                                                                            
Troppo spesso i rapporti di lavoro si fondano su ricatto e sfruttamento, e da molti anni a questa parte abbiamo sentito parlare dei diritti residui dei lavoratori come “privilegi da abbattere”, in un mistificatorio meccanismo di colpevolizzazione verso il basso anziché verso l’alto, funzionale a chi tiene le redini dell’economia e della vita di milioni di persone (è un meccanismo non dissimile, nell’intento, da quello che recentemente è stato messo in atto aizzando ostilità verso il “runner untore”, distogliendo implicitamente lo sguardo da chi ha chiuso, smantellato, privatizzato gli ospedali, o mal gestito le prime fasi dell’emergenza). Nel frattempo, sui posti di lavoro si è continuato a morire.
 Da sempre i lavoratori pagano l’iniquità di un sistema asservito a logiche basate unicamente sull’aumento di produttività e profitto. Il rischio concreto è che le classi dominanti di ogni paese, con il pretesto di lottare contro la pandemia, difendano la propria posizione scaricando i costi sociali della crisi e dell’emergenza sanitaria sulle spalle delle classi lavoratrici. Approfittando anche delle limitazioni al diritto di manifestare e/o scioperare imposte dalle misure di emergenza. Alla luce di tutte le ingiustizie e le oppressioni che colpiscono il mondo del lavoro, le antiche rivendicazioni sono più che mai attuali, anche contro chi, in tempi recenti, ha continuato a starnazzare di “invasione” sostenendo che “prima vengono gli italiani”. 
Vale allora la pena ricordare, in memoria dei martiri di Chicago, che il Primo Maggio è la festa della solidarietà internazionale verso gli sfruttati che lottano per i diritti e per la libertà, e che le logiche ricattatorie che colpiscono i lavoratori italiani sono ugualmente pesanti ed aggressive verso i migranti. Spesso di più. Soprattutto oggi, i problemi e i bisogni dei lavoratori, e di chi magari un lavoro non ce l’ha proprio o l’ha appena perso, sono simili. In un sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, esistono solamente due razze: chi sfrutta e chi è sfruttato.
Sebastiano Palamara

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SCIOPERO GENERALE mercoledì 25 novembre 2020

 

ARTE JUGOSLAVA

ARTE JUGOSLAVA. TERZO SPAZIO Chiara Sestili  e  Daniele Vazquez Prima rottura partigiana: dal realismo socialista alla sua dismissione  La  Jugoslavia  ha visto abbattersi sulla propria storia una doppia  damnatio memoriae . Dannata, dapprima dal blocco sovietico e dal blocco occidentale, in quanto “porta del capitalismo” per gli uni e “satellite dell’URSS” per gli altri, è stata definitivamente perduta all’oblio storico con il crollo e le guerre degli anni Novanta. Antun Augustinčić scolpisce il busto di Tito 1947 Bogdan Bogdanović con i suoi studenti Džamonja Edvard Ravnikar Picelj Bakić-Vasarely_Džamonja-primi 60_Londra Picelj e Snrec Vjenceslav Richter 1972 Vojin Bakić Numerosi equivoci ci sono stati durante il processo di costruzione identitaria e invenzione della tradizione dopo la Federazione Jugoslava, non solo storici, politici e culturali, ma anche nel campo dell’arte. L’obbiettivo di questo articolo è restituire le esperienze artistiche

lavorare meno, lavorare tutti!